La bambina ha nove anni, è alta 1,36 e pesa 33 chili, vive in Brasile in condizione di disagio, è denutrita. Il patrigno di 23 anni violenta lei e la sorella maggiore, che ha 14 anni e un ritardo mentale, da più di due anni. La piccola rimane incinta, aspetta due gemelli, è al quarto mese di gravidanza: se la gravidanza proseguisse la bambina sarebbe in pericolo di vita. Persino la legge in Brasile ammette in questo caso l’aborto, che viene praticato con il consenso della mamma. Ma la chiesa non condivide: l’arcivescovo di Recife e Olinda scomunica i medici e la madre; non la bambina, troppo piccola; non lo stupratore, reo confesso. “Non c’è crimine peggiore dell’aborto”, afferma l’arcivescovo. E lo stupro? Per quello “ci penserà la giustizia”. E il Vaticano commenta: “Un atto dovuto. E inevitabile“.

Finché esisteranno persone – che indossino o meno l’abito talare – che si permettono di difendere il principio della vita in termini assoluti, fino al punto di escludere l’aborto in qualunque circostanza,  ma che non battono ciglio di fronte alla violenza, all’offesa, alla totale mancanza di rispetto e di amore che ogni stupro porta con sè, non ci sarà giustizia sulla terra, secondo me.

Lo stupro, a maggior ragione di un minore, è un atto che dovrebbe far gridare all’orrore, che dovrebbe indignare chiunque, che dovrebbe scuotere le coscienze. Tutto il resto è secondario. La decisione di abortire o meno deve spettare esclusivamente alla vittima dello stupro, o ai suoi genitori, se si tratta di una bambina, e nessuno dovrebbe permettersi di giudicarla.

Poco importa che l’arcivescovo abbia poi dichiarato che accoglierebbe di nuovo la madre in seno alla chiesa, se chiedesse perdono. Se la chiesa è questa, meglio allontanarsene. E gli unici che in questa vicenda dovrebbero chiedere perdono sono lo stupratore, e tutti quelli che anziché condannare il suo gesto ne condannano la vittima.

Voi cosa ne pensate?