Mamma a tutti i costi
Nell’ultimo post vi raccontavo della mia decisione di ricorrere alla fecondazione assistita per diventare mamma. Una decisione dettata da una serie di fattori: in primis i miei tre miomi, l’utero reso più duro proprio per i fibromi, seguiti dall’età, 43 anni… Ho trascorso settimane a fare esami e seguire l’iter per consultare degli specialisti in Spagna, visto che la mia esperienza in una clinica milanese non mi aveva affatto sentire a mio agio, per parafrasare delle sensazioni davvero avvilenti.
Sono state settimane dove il mio cuore era sempre accelerato, dove faticavo a prendere sonno, dove mi alzavo la mattina alle 5 e uscivo di casa come una matta girando per le strade, una volta comprando cornetti caldi, una volta fiori. Mi tormentavo perché la strada per avere un figlio era lastricata di incertezze, si trattava di mettere a dura prova il mio corpo ma soprattutto la mia psiche senza nessuna garanzia. Come avrei affrontato una delusione? Mi tormentavano mille pensieri, ma continuavo a fare i passi necessari per raggiungere il mio obiettivo.
Respiravo profondamente e ogni giorno aggiungevo un tassello per avvicinarmi al completamento della mia cartella sanitaria per consultare gli specialisti spagnoli.
Quando meno te lo aspetti…
In questo periodo di stordimento e autoderminazione tra il lavoro, la famiglia, la casa, un corso di specializzazione tutti i sabato per 8 ore e la visita di alcuni parenti dal Sud non mi sono accorta di essere in ritardo con il ciclo. Quando me ne sono accorta, ho pensato che fosse strano non aver avuto nemmeno i soliti dolorini all’addome, in genere sono puntuale, ma da quando ho cominciato a cercare di rimanere incinta anche il minimo ritardo mi dava speranza. Una volta ho avuto un ritardo di 5 giorni…
Questa volta non volevo illudermi, anche perché mi risuonavo ancora nelle orecchie le parole dei medici, in particolare quelle che dicevano che nella mia condizione avevo più probabilità di vincere al totocalcio che rimanere incinta.
Del mio ritardo ho parlato solo con le mie colleghe del corso di specializzazione del sabato che mi hanno consigliato di fare un test di gravidanza. Ma io avevo troppo paura di restare delusa, avevo deciso di aspettare 10 giorni. Ero troppo fragile per vedere un risultato negativo. Volevo essere cauta, fredda, razionale, volevo proteggermi e non illudermi.
La sera, a casa, la mia faccia e il mio comportamento inquieto non erano passati inosservati. Così ho raccontato al mio compagno del ritardo e del test. Abbiamo deciso di farlo. Mi ricordo ancora io in bagno un po’ stordita e incredula, lui dietro la porta del bagno ad aspettare. Appena fatto sono corsa fuori per aspettare con lui il risultato. E’ stato istantaneo, sotto i nostri occhi sono comparse due lineette azzurre. Io non ci credevo, ho preso le istruzioni del foglietto illustrativo e sono andata anche su Internet. Ero incinta. Ho pianto dalla gioia, ci siamo abbracciati.
E’ stato il momento più bello ed emozionante della mia vita. Dentro di me c’era un bambino, il mio bambino, quello che mi avrebbe chiamato mamma, quello che per me dava un significato aggiunto a quello che avevo fatto finora e avrei fatto in futuro. Era il frutto del mio amore con il mio compagno, era nostro! Era una cosa inaspettata, incredibile, un miracolo!
E la scienza?
E quello che avevano detto i medici? Che in quelle condizioni era impossibile restare incinta?! Quello che ho capito è che per certe cose non ci sono certezze, i medici si basano sulla casistica, sulle percentuali, ma non possono prevedere al 100% alcune situazioni, non si tratta di una malattia con il suo decorso e le sue medicine da somministrare. Dopo quest’esperienza mi sento di dire alle donne che stanno vivendo questa situazione di lasciarsi le porte aperte, di non scoraggiarsi, di non farne il pensiero fisso di ogni minuto, di prendere in mano la situazione e valutare ogni possibilità e poi agire.
Ci si sente sole? Spesso sì, in questo cammino a volte i medici sono molto freddi e distaccati, mentre noi vorremmo sentirci dire parole rassicuranti o consolatorie. Amici, parenti e conoscenti si sentono in dovere di dirci la loro, mentre noi vorremmo solo un sostegno silenzioso e incoraggiante. A volte mariti e compagni vacillano, hanno bisogno di essere sostenuti perché sono spaventati più di noi.
Quindi noi donne viviamo da sole queste emozioni così forti, questo senso di disorientamento, di incertezze, che ci portano a chiedere se quello che stiamo facendo è giusto, se il nostro corpo e la nostra psiche reggerà a questa pressione, a queste prove a cui dobbiamo sottoporci senza avere la certezza che ci sia un lieto fine.
Forse bisognerebbe ricorrere ad un sostegno psicologico. Non so, so che sono momenti davvero duri e che ognuno deve fare quello che si sente, ma deve anche avere la fortuna di trovare degli specialisti e persone amiche che ti guidino, che ti regalino un raggio di sole. In ogni caso i miei quattro mesi di angoscia e di lotta interiore, le mie lacrime e le mie notti insonni, anche le mie preghiere mi hanno portato qui: ad avere un fagiolino nella pancia!