L’atto di partorire comporta una separazione, così come l’atto di partire.Non a caso i due verbi pare che abbiano una lontana etimologia comune.Dato che ogni separazione è in qualche misura dolorosa, è per me un controsenso inseguire il mito del parto indolore. Fosse anche possibile cancellare il dolore fisico, bisognerebbe comunque fare i conti con il dolore psicologico che – inestricabilmente unito alla gioia per la nuova nascita – accompagna molto spesso la puerpera nelle prime settimane dopo il parto (dalle maternity blues, più frequenti, che scompaiono spontaneamente, alla vera e propria depressione post parto, che necessita di terapia). Esistono sicuramente strumenti naturali e artificiali per ridurre e controllare il dolore, che analizzeremo a breve. Ma con il dolore bisogna comunque essere preparate a fare i conti.
Come avviene il parto?
Il parto si distingue tra:
– naturale: avviene per via vaginale, con espulsione naturale del bambino
– cesareo: il bambino che viene estratto dal ventre materno mediante incisione di addome e utero.
Il parto naturale si differenzia in quattro fasi:
quella prodromica e quella dilatante costituiscono il travaglio;
seguono la fase espulsiva e il secondamento, l’espulsione cioè della placenta.
Durante il travaglio l’utero incomincia a contrarsi, all’inizio in maniera sporadica (contrazioni di Braxton Hicks), poi in modo sempre più cadenzato. La cervice uterina a poco a poco si dilata per consentire il passaggio del bambino nel canale del parto.
Man mano che le contrazioni si fanno più frequenti aumenta la loro intensità e la loro durata. La donna ha modo così di abituarsi gradualmente al dolore.
Quando la dilatazione della cervice è completa (ha raggiunto cioè un diametro di circa 10 cm) la donna avverte, in corrispondenza delle contrazioni, che ora sono in genere più sopportabili, il desiderio di spingere: in questo modo facilita la nascita del bambino.
La durata di queste fasi varia molto da donna a donna; generalmente le nullipare impiegano più tempo (4-5 ore per la fase dilatante, un’ora per quella espulsiva), mentre le pluripare ne impiegano meno (2 ore per la fase dilatante, mezzora per quella espulsiva).
Durante la fase prodromica si può notare la perdita del tappo mucoso con delle striature di sangue: è la cervice uterina che si sta preparando alla dilatazione.
La rottura spontanea delle membrane amniotiche, invece, (la cosiddetta “rottura delle acque”, o “del sacco amniotico”) può avvenire prima, durante o al termine del travaglio. E’ importante che il colore delle acque contenute nel sacco sia limpido. Se al contrario il sacco è tinto è perché il feto ha emesso meconio, sostanza di colore bruno-verdastro contenuta nel suo intestino. Il meconio può essere segno e allo stesso tempo causa di sofferenza fetale, pertanto è opportuno che la situazione sia monitorata attentamente.
Il parto si definisce eutocico o fisiologico se avviene spontaneamente, distocico se è necessario un intervento medico a causa di complicazioni.
Quando avviene il parto?
Generalmente, il parto avviene intorno alla quarantesima settimana di gestazione, calcolata a partire dalla data di inizio dell’ultimo ciclo mestruale. Si definisce parto pretermine quello che ha luogo prima dell’inizio della trentasettesima settimana, a termine se avviene tra la trentasettesima e la quarantunesima, post termine a partire dalla quarantaduesima. Normalmente i protocolli ospedalieri prevedono che il parto venga indotto nel corso della quarantunesima settimana, perché oltre la quarantaduesima pare che aumentino i casi di mortalità e morbilità perinatale. Prematuro è un bambino nato pretermine, cioè prima della data del parto, che pesa meno di 2,5 kg.
Il parto indotto
L’induzione del travaglio può anche essere legata alla presenza nella donna di patologie mediche o ostetriche (preeclampsia, eclampsia, diabete gestazionale). Generalmente, avviene tramite due modalità, a seconda della condizione del collo dell’utero:
– se quest’ultimo non è ancora pronto e non si hanno contrazioni regolari si fanno una serie di applicazioni intravaginali di gel a base di prostaglandine, che lo preparano;
– se il collo dell’utero è già appianato e si hanno contrazioni si procede con ossitocina per infusione endovenosa.
Spesso queste due pratiche sono accompagnate dall’amnioressi, o rottura artificiale delle membrane, provocata tramite un sottile strumento a forma di uncino. Non si tratta di un’azione dolorosa, ma invasiva, che talvolta può causare contrazioni e accelerare un travaglio che procede a rilento, ma aumenta anche il rischio di infezioni. Consente di verificare il colore delle acque, se si teme che vi possa essere meconio.
L’induzione può aumentare il rischio di ricorso al parto cesareo.
Per “facilitare” l’espulsione del bambino si utilizzano talvolta delle tecniche che oggi sono state messe parzialmente in discussione:
– l’episiotomia, o incisione chirurgica del perineo; utilizzata alcuni decenni fa come routine per prevenire eventuali lacerazioni, oggi dovrebbe essere praticata solo in caso di sofferenza fetale, per accelerare la nascita del bambino;
– la ventosa, utilizzata per estrarre il bambino senza rischi; dovrebbe avere sostituito ormai dappertutto il forcipe – ancora in auge in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta – che spesso causava danni cerebrali;
– la manovra Kristeller, tramite la quale il ginecologo dà una spinta all’altezza del fondo dell’utero, al termine della fase espulsiva, in corrispondenza della contrazione; è ancora piuttosto utilizzata in Italia, ma vietata in molti stati europei, perché può causare la lacerazione del perineo o – nella peggiore delle ipotesi – la rottura dell’utero; dovrebbe essere praticata esclusivamente in caso di urgenza, quando la testa del bambino ha già raggiunto il piano perineale.
Quando si pratica il cesareo?
Queste sono le situazioni in cui occorre oppure è suggeribile praticare un parto cesareo:
– Presentazione del bambino di spalla o podalico, quindi con spalla o piedi rivolti – a termine della gravidanza – verso il bacino della mamma. Nel secondo caso in realtà il parto per via vaginale non è impossibile, ma più difficoltoso e rischioso. In Italia nessuno è più in grado di assistere a un parto podalico per via vaginale, in altri paesi (nei Paesi Bassi, per esempio) esiste invece ancora la possibilità di partorire naturalmente.
–Sofferenza fetale, valutata con l’aiuto del cardiotocografo, strumento che registra l’attività cardiaca del feto e la sua reazione alle contrazioni uterine.
–Pregresso taglio cesareo: in questo caso la maggior parte dei medici tende a spingere verso un nuovo taglio cesareo, ma in realtà è possibile partorire naturalmente, tenendo conto del fatto che la cicatrice del cesareo pregresso rende la pelle meno elastica; esiste quindi una remota possibilità di rottura dell’utero. Per questa ragione il travaglio in questi casi deve svolgersi in una struttura ospedaliera in grado di praticare un taglio cesareo d’urgenza – all’occorrenza – e la donna deve firmare un consenso informato prima di partorire per via vaginale.
-Nel caso infine di gravidanza gemellare la situazione va valutata caso per caso, non essendo questa a priori una situazione che richiede un taglio cesareo.
Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandi che la soglia di ricorso al taglio cesareo si arresti tra il 10 e il 15%, in Italia oggi i tagli cesarei costituiscono il 38% dei parti, e il trend è in netto aumento.
Quale anestesia?
A partire dagli anni Novanta, il parto cesareo viene generalmente praticato in Italia con anestesia peridurale, che consente alla mamma di essere vigile e partecipe alla nascita del bambino.
Simile all’anestesia peridurale è la spinale, utilizzata talvolta nei cesarei d’urgenza, perché agisce più rapidamente.
L’anestesia peridurale o epidurale è la stessa che, in dosaggio diverso, viene praticata per ridurre il dolore di un parto naturale. Ha dei possibili effetti collaterali, ragione per cui è bene che la futura madre che vuole richiederla in travaglio si sottoponga a delle analisi mediche prima del parto; viene richiesta inoltre la firma di un consenso informato tramite il quale si prende visione delle problematiche che possono insorgere in seguito a questo intervento (calore, formicolio e prurito nell’immediato, cefalea e lombalgia nei giorni successivi, complicazioni neurologiche maggiori in rarissimi casi). Nel 2006 il ministro Turco ha cercato di rendere l’anestesia peridurale disponibile e gratuita in tutti gli ospedali italiani, ma ancora oggi esistono differenze tra ospedale e ospedale, tra regione e regione.
Come ridurre il dolore del parto?
Esistono però,e non dobbiamo dimenticarcene, una serie infinita di strumenti che la natura ci offre per ridurre il dolore del parto. Fondamentale è trascorrere il periodo del travaglio in un luogo accogliente, con persone che trasmettono fiducia e sicurezza; l’ideale sarebbe passarlo in casa propria.
– Posizioni: durante il travaglio, ma anche nella fase espulsiva, può servire prendere determinate posizioni piuttosto che altre, muoversi e decidere di volta in volta come stare, tramite l’aiuto di corde, cuscini, sgabelli, o con il sostegno di un partner.
Qui di seguito vedete la posizione seduta e semireclinata, più adatte rispetto a quella tradizionale (detta litotomica, comoda per chi assiste al parto, ma generalmente non per chi partorisce):
Può essere utile camminare, cambiare di tanto in tanto posizione; sicuramente lo stare in posizione verticale aiuta, perché la forza di gravità facilita la discesa del bambino. Alcune donne sentono benessere nella posizione quadrupedica, altre in ginocchio; tutte comunque dovrebbero provare più di una posizione, perché non ne esiste una a priori che vada bene in ogni momento per ciascuna.
– L’immersione in acqua tiepida può rendere più breve il travaglio e meno doloroso il parto: l’acqua aumenta il grado di rilassamento e rende più elastici i tessuti.
– Il respiro: deve essere utilizzato consapevolmente e può anche essere accompagnato da una vocalizzazione particolare, detta canto carnatico.
– Training autogeno, autoipnosi o ipnosi, agopuntura, sono altri strumenti per alleviare il dolore.
Cascuna di queste pratiche può aumentare nel nostro corpo la produzione di endorfine, che sono i nostri anestetici naturali; i loro effetti sono simili a quelli dell’oppio (contenuto nella peridurale), ma hanno portata più ampia di quest’ultimo, e non hanno effetti collaterali.
Il dolore fisico legato al travaglio e al parto non è da temere: è solo un segnale da cogliere, che ci ricorda che qualcosa di straordinario sta per accadere al nostro corpo, che ci mette con tutti i sensi in allerta, che ci prepara a donare la vita a un altro essere umano. Il dolore va incontrato, accettato, e solo così può essere compreso e superato, lasciandoci la sensazione di essere andate oltre quelli che ritenevamo fossero i nostri limiti fisici, dandoci una nuova forza, la consapevolezza di avere un nuovo potenziale che non conoscevamo.
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Nota: il verbo partorire è legato etimologicamente al sostantivo parente, che viene dal latino parere, la cui radice indoeuropea significa portare, generare. Il verbo partire, legato etimologicamente al sostantivo parte, dal latino pars, ha la medesima radice.
Libri consigliati:
F. Leboyer, Per una nascita senza violenza
M. Odent, Il bebé è un mammifero
L. Braibanti, Parto e nascita senza violenza
J. Balaskas, Manuale del parto attivo
E. Malvagna,
I. M. Gaskin, La gioia del parto
Massimo Somaglino (regista) e Giuliana Musso (unica attrice) hanno realizzato uno spettacolo teatrale molto intenso, dal titolo “Nati in casa”, che ironizza sull’invasività di certe tecniche praticate in ospedale e narra, sulla base dei racconti delle ostetriche di un tempo, di come si nasceva una volta.
In questo sito trovate le 15 raccomandazioni per il rispetto della donna che partorisce in ospedale, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha redatto nel 1985. Purtroppo sono ancora molti gli ospedali che non si attengono a tutte le indicazioni presenti nel documento.
Qui trovate invece il decalogo redatto dall’Unicef in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità per favorire l’allattamento al seno: se si seguono questi parametri è possibile diventare un ospedale amico dei bambini (e anche delle mamme, si spera!)