A Sonnino, in provincia di Latina, una mamma accompagna la figlia alla scuola materna indossando il burka; altri genitori le chiedono di scoprire occhi e bocca dentro l’atrio, per non spaventare i loro bambini. Questa notizia, la settimana scorsa, ha sollevato un dibattito tra chi vuole evitare che le donne islamiche indossino il burka, e chi invece è dell’idea – in nome della tolleranza, e opponendosi a qualunque forma di razzismo – che ciascuno possa indossare quello che crede, tanto più se si tratta di un abito che si impone alle donne per tradizione e fede religiosa.

Le mamme della scuola di Sonnino negano che si tratti di una forma di razzismo, semplicemente esprimono la loro perplessità e si fanno portavoce dei timori espressi dai loro figli. Il marito della signora in burka, d’altro canto, assicura che non c’è nulla da temere, perché l’abito fa parte della loro tradizione.

Mi piacerebbe sapere cosa pensa la mamma in burka di questa situazione, ma a lei non viene data la parola. Nessun volto, nessuna voce: una specie di fantasma, insomma, o poco più. E sono in difficoltà, se devo esprimere un’opinione su questa vicenda. Perché, se da un lato ritengo che sia giusto rispettare le altre culture, mi risulta tuttavia difficile accettare che la donna venga in nome di una “tradizione” condannata a uscire di casa come se fosse uno spettro, e non un essere umano, con un corpo, dei lineamenti del volto, una voce. Non è forse razzismo anche questo, verso la donna, anziché verso un’altra cultura?

Voi cosa ne pensate?

Immagine: trekearth.com