Nel precedente articolo abbiamo parlato dell’istinto materno, e di un amore che talvolta è prorompente e viscerale, altre volte, invece, parte lentamente ed in sordina. Non c’è un unico modo di sperimentare l’amore materno.Credo che non sia importante stabilire se questo istinto esiste, e quanto sia forte, ma comprendere che la genitorialità non si esprime solo attraverso la sua parte istintuale ed innata.

Secondo molti esperti madre non si nasce, ma lo si diventa attraverso un lungo percorso interiore. E’ un percorso di crescita fatto di incontro-con-l’Altro, incontro col proprio bambino. Un altro sconosciuto, mai incontrato, unico.

E’ anche un incontro con il proprio partner, col quale si sperimenta un nuovo modo di stare insieme, un nuovo modo di essere famiglia e persone.

La maternità riporta ogni donna a rivivere una parte della propria storia, che riguarda il proprio essere figlia e il modello di maternità di cui ha avuto esperienza. Ma non è così semplice, non si tratta di una semplice riedizione del passato.

La maternità apre dentro ciascuno di noi (persino prima di diventare madri) molti temi esistenziali: il contatto con un neonato che urla, piange, pretende le nostre cure, è sempre molto forte, e richiama le proprie esperienze di accudimento o di abbandono.

I passi necessari a stabilire un modello di cura “adeguata” sono la capacità di integrare il passato con il presente, di andare oltre l’esperienza già vissuta e di creare un proprio stile personale.

Se è vero che esiste una maternità felice, senza problemi, è vero anche che esistono molte sindromi post-parto e molta sofferenza non riconosciuta. La prevenzione, e non solo la diagnosi e la cura, sarebbe un obiettivo molto importante.

Va da sé, dunque, che la questione dell’abilità materna è legata al completamento e all’arricchimento della propria personalità, e non alla qualità del proprio istinto. E’ un cammino di crescita, non un merito o una dote personale.

Dal punto di vista psicologico si ritiene che la gravidanza sia un periodo in alcuni casi “protettivo” rispetto ad alcuni disturbi, in altri invece fortemente a rischio, capace di generare una condizione di sofferenza e di labilità emotiva.

Questo dimostra quanto è importante, quindi, cominciare a considerare la maternità come una condizione psicologica specifica e non legata esclusivamente a competenze di ambito medico o ostetrico.

Una madre può avere un buon parto, un’ottima assistenza ospedaliera, e poi ritrovarsi “paralizzata” davanti al proprio figlio che piange. Può ritrovarsi in difficoltà nel decodificare il comportamento che richiede la cura dei bisogni più semplici e fondamentali.

C’è molto silenzio rispetto a queste sensazioni, non c’è ancora la possibilità di prevenire questa difficoltà tra mamma e piccolo, partendo proprio dalla cura verso la narrazione del storia relazionale della donna in gravidanza (famiglia di origine, storia della coppia, etc.).

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: spiritismo-italia.blogspot.com