La risata di un bambino è contagiosa, piena di vita e di allegria, e per una mamma si tratta della ricompensa a tutte le fatiche, che in un istante vengono dimenticate. Ma a che mese un neonato comincia a ridere? E cosa scatena quegli attacchi irrefrenabili di gioia?

L’uomo è l’unico essere vivente in grado di ridere, grazie ai muscoli facciali che soltanto la nostra specie possiede. L’espressione del volto, infatti, è per noi un fattore importantissimo nella comunicazione sociale: dolore, felicità, tutto viene trasmesso in primis dal viso che dalle parole.

Questo vale a maggior ragione per i neonati, che per esprimere bisogni, piacere e gioia hanno a disposizione unicamente i suoni: dapprima viene il pianto, poi il sorriso e infine la risata.

Il sorriso nasce in relazione alle sollecitazioni di suoni, voci e sensazioni di benessere, come il sonno o la poppata, ma si tratta ancora di un’azione involontaria e, per così dire, automatica dei muscoli facciali.

Bisogna infatti attendere almeno quattro settimane perché il sorriso diventi una risposta alle attenzioni di mamma e papà, anche se comunque resta un’espressione inconsapevole di uno stato di benessere.

Dai due-tre mesi in poi, invece, il sorriso acquisisce sempre più consapevolezza, diventando un mezzo di comunicazione vero e proprio e non più semplicemente un riflesso.

Intorno ai quattro-cinque mesi, poi, ecco che finalmente la casa risuona dell’inconfondibile acuto tanto atteso da genitori, nonni, zii, ecc.: la sua prima risata! Una conquista fondamentale, in quanto incoraggia e sviluppa l’interazione del piccolo con quanti lo circondano, creando quella magia di sorrisi e risate a ripetizione che si rimandano da adulto a bambino in uno scambio continuo di gioia.

Ma come succede? E perché versi e smorfie divertono da matti un bambino di quattro mesi mentre lasciano indifferente un bimbo appena nato?

La spiegazione è semplice: a divertire un bambino è l’inaspettato e l’imprevedibile, di una situazione o di un volto. Un neonato ancora non conosce le linee che compongono un viso, ovvero la “normalità”, e quindi non sa cosa aspettarsi. Non se n’è costruito l’immagine, e quindi non può coglierne i cambiamenti.

Man mano che si arricchisce il suo bagaglio di esperienze, ecco che crescerà anche la sua capacità di distinguere la normalità dalle sue variazioni.

Anna DC