La cultura in cui viviamo ignora quasi del tutto due temi importanti come il Dolore e la Morte: viviamo come se non esistessero, come se fossimo immortali, e consideriamo questi argomenti come dei Tabù. Quando qualcuno dei nostri vicini ne viene toccato, lo invitiamo a non pensarci, ad andare avanti cercando di dimenticare. In una parola, ne siamo desensibilizzati.

Questo articolo non è un inno alla sofferenza, né un invito a rinunciare al sostegno medico quando è necessario o indispensabile. E’ piuttosto un invito alla riflessione riguardo al senso che abbiamo dato, o piuttosto tolto, ad un’esperienza che fa parte della vita di tutti, e che è impossibile da eliminare.

 

L’ evitamento delle emozioni spiacevoli non ci aiuta a vivere, e questo diventa più evidente nei momenti in cui incontrare il dolore diventa inevitabile: la malattia, la fatica, ma anche il parto. Quella di poter governare il dolore, e con esso la nostra vita, è solo un’illusione: ci fa entrare in quel delirio di onnipotenza che spesso la medicina ha perpetuato, nel tentativo di sconfiggere queste componenti della condizione umana, ignorando il fatto che gioia e dolore appartengono entrambi alla vita.

Il tentativo di controllare le emozioni, le sensazioni, è dettato semplicemente dalla paura della precarietà e dall’incapacità a lasciarsi andare. I sentimenti, tuttavia, non sono controllabili, si possono soltanto vivere: facendo questa esperienza fino in fondo e lasciando spazio alla nostra parte più autentica saremo in grado di affrontare quel cambiamento continuo e costante, quella trasformazione incessante che, dal primo all’ultimo giorno, si chiama Vivere.

E’ in quest’ottica che diventa importante prepararsi: al cambiamento, alla morte, al dolore ad essi connesso, è un compito fondamentale in tutte le culture orientali, che intendono la vita come un ciclo continuo di morti e rinascite. Da questo punto di vista, solo la fiducia nella rinascita può rendere accettabile l’esperienza del soffrire.

Dare al dolore un senso è ciò che manca nella nostra società, ma è ciò che permette di renderlo tollerabile: la fede nel fatto che sia un’esperienza transitoria, che ciascuno di noi è in grado di affrontare, e che abbia un fine utile nella nostra esistenza, ci permette di vivere con dignità quegli aspetti inevitabili di sofferenza che appartengono all’esperienza di tutti. Il parto è uno di questi, e non a caso ha significati molto diversi a seconda della cultura in cui si inserisce.

Non è semplice né scontato fare questo percorso da soli: spesso è necessario rivolgersi a figure competenti, come psicologi che sostengono l’esperienza della gravidanza, o associazioni (generalmente di ostetriche) che favoriscono il parto e la gravidanza naturale.

In passato esistevano molti riti di passaggio che celebravano il dolore della trasformazione: uno di questi era partorire. Queste celebrazioni avevano il valore di aiutare l’individuo a superare la transizione tra le varie fasi della sua vita, e a non farlo sentire solo davanti alla fatica di crescere.

Nella nostra società, dove impera il mito dell’efficienza e dell’immortalità, la medicina diventa panacea di tutti i mali -o quasi-, alla quale chiediamo di renderci invincibili.

Ma l’illusione è vana: c’è una dignità nel dolore, come parte della condizione umana, e c’è anche una consapevolezza, ancora non riscoperta, del fatto che ogni momento, ogni singolo giorno, bello o brutto, è prezioso ed importante, da vivere in pienezza.

 

Ancora oggi la nascita di un figlio assume il valore di momento di passaggio da una condizione esistenziale ad un’altra, anche se sempre più spesso le donne e le coppie necessitano di sostegno e contenimento per affrontare questo cambiamento importante, nel quale mancano ormai i punti di riferimento un tempo dati dal contesto familiare e culturale.

 

Impreparati da un clima culturale in cui l’analgesia e la desensibilizzazione sono gli strumenti più potenti, le donne oggi possono scegliere se vivere questa esperienza come occasione di crescita e di confronto con se stesse, o subìrla passivamente, affidandosi ad un controllo esterno e strumentale del proprio corpo.

 

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

 

foto: donna.tuttogratis.it