Cosa fare quando tuo figlio è vittima di una percossa da parte di un coetaneo e come insegnargli la fiducia nelle proprie forze senza rispondere con la violenza?
Non credo di aver mai visto trascorrere un anno scolastico senza sentir raccontare (in ogni scuola della città, in ogni contesto culturale) di qualche bambino che si è fatto ragione con la forza fisica.
In ogni ordine e grado della scuola, dunque ad ogni età, esistono bambini che si credono più forti, o che semplicemente sono più arrabbiati, e anche senza volerlo utilizzano un comportamento aggressivo.
Nella scuola materna i bambini sono molto piccoli e il morso, ad esempio, è un gesto istintivo. E’ difficile sentir dire che è “naturale”, eppure per un bimbo di 1/3 anni mordere è l’espressione più spontanea della sua rabbia.
Non è detto che chi riceve “il danno” sia responsabile di questa rabbia: può accadere che ci sia un litigio in corso, ma anche che il “piccolo assalitore” abbia semplicemente bisogno di esprimere i suoi sentimenti negativi e lo faccia in modo poco adeguato.
Ho scritto diversi articoli che parlano della funzione evolutiva della rabbia, di bullismo, di bambini che mordono, di genitori che chiedono aiuto per insegnare ai loro figli un comportamento non violento. Poco ho scritto invece per i bambini che sono “vittime” di questo comportamento.
E’ davvero difficile sapere cosa fare quando il proprio figlio torna a casa ripetutamente con i segni di un morso o di una percossa da parte di un compagno. Normalmente insegniamo loro che picchiare è qualcosa che non si fa, ma non siamo pronti a insegnare loro come difendersi in caso di aggressione.
Rispondere alla violenza con la violenza è sicuramente il modo più sbagliato: porterà l’aggressore a sentirsi legittimato nel suo gesto violento (e a ripeterlo), e a sperimentare una frustrazione che fomenterà la sua rabbia.
Se sei un insegnante, non picchiare il bambino per punirlo.
Se sei un genitore, non insegnare a tuo figlio a difendersi picchiando a sua volta.
Hai mai pensato che questo è un banco di prova nel quale imparare che nella vita esistono gli aggressori e le persone che si fanno ragione con i soprusi?
Ogni genitore di un bambino che è vittima è chiamato a trovare un modo per stare con quel bambino.
Alice Miller, in molti dei suoi libri, ripeteva spesso che non è il trauma in sé che lascia segni per tutta la vita, ma non avere nessuno con cui parlare di questi traumi. I bambini che hanno la possibilità di parlare, anche in condizioni di gravi abusi, hanno maggiori possibilità di imparare a gestire le cose in un modo a loro funzionale, anche quando non può essere fatto molto per cambiare le circostanze.
Stiamo discutendo di quei casi che non sono certamente piacevoli, ma che non sono gravi, e che prima o poi ogni bambino in contra nella vita: il coetaneo che fa il prepotente, usa la forza fisica, dà uno spintone, uno schiaffo, un morso.
Il mio non è certamente un invito ad ignorare la situazione o aspettare che si risolva da sola: ci sono molte misure educative, da parte dei genitori e degli insegnanti, che DEVONO essere messe in atto nel momento in cui questi episodi si verificano.
Sappiamo tutti che dietro ad un bambino che picchia c’è un bambino che soffre.
Oggi però voglio guardare la cosa da un punto di vista diverso, parallelo.
Per quanto straziante è vedere che un bambino che amiamo soffre, solo superare questa difficoltà permette di crescere trovando forza in questa esperienza.
Solo una madre presente e rilassata rende possibile fornire al bambino-vittima la convinzione sufficiente nelle proprie forze. L’idea che nostro figlio debba fare questo rivela l’idea che ciascuno di noi deve trovare soluzioni come individuo.