Nel precedente articolo abbiamo discusso della paura di diventare genitori, e di come essa si declini in varie forme che possono riguardare diversi temi personali, ma che tutte contribuiscono, da un lato, a ritardare la decisione di mettere al mondo un figlio, dall’altro, a vivere un clima di mancata serenità quando il concepimento o la nascita sono già avvenuti.

Il secondo esempio portato nell’articolo precedente è il timore che il figlio possa rappresentare una responsabilità troppo grande da assumersi in un determinato momento della propria vita.

Abbiamo già analizzato il contesto socio-culturale odierno, in cui prevale l’individualismo e il ritardo nel conseguimento di alcuni obiettivi di vita.

A ciò si aggiunge il modo in cui ciascuno di noi ha vissuto la famiglia, luogo delle relazioni primarie e della costruzione del senso dell’intimità che tanto è importante in un futuro rapporto di coppia e genitoriale.

I nostri genitori sono per noi l’esempio più importante dell’esperienza genitoriale: a partire dal modo in cui ci siamo sentiti figli, e abbiamo visto loro genitori, costruiamo larga parte della nostra identità nella nostra famiglia.

Oltre ad essere il luogo in cui si costruisce il proprio stile relazionale, infatti, la famiglia è anche un importante laboratorio di osservazione del comportamento degli adulti, per ogni bambino.

Crescendo possiamo diventare in grado di renderci autonomi dallo stile prevalente nella nostra famiglia, o cercare di conformarci ad esso. E tutto ciò incontrerà il medesimo meccanismo nel nostro partner, che lavorerà per uguagliare o diversificarsi dai propri genitori.

L’identificazione potrà essere con uno dei due, col proprio padre o con la madre, e creare così delle aspettative sia riguardo a se stessi che al proprio partner.

Andiamo al caso in cui uno o entrambi i membri della coppia sostengano l’ipotesi che un figlio riguarda troppe responsabilità.
La prima cosa da chiedersi, o da chiedere loro, è che tipo di genitori sono stati i loro genitori. Quest’analisi, già in superficie, comunica molte cose sui vissuti emotivi legati ai ruoli familiari.

Un clima familiare stressato, affaticato, dove l’aria che si respira non è allegra ed il messaggio prevalente è che essere genitori è una fatica, resta in qualche modo sulla pelle.

Per quanto possa sembrare “forte”, detto in questo modo, ci sono genitori che fanno pesare ai figli la loro presenza: i casi in cui questo avviene possono essere diversi tra loro, varie le motivazioni, ma quel che li accomuna è che indirettamente e anche senza espliciti discorsi, il figlio cresce nel vissuto di essere di troppo o impegnativo.

Sono i casi in cui il tema del sacrificio dei genitori è in primo piano, in cui sappiamo fin troppo bene quali sono le rinunce che i nostri genitori hanno dovuto fare a causa nostra, sono le storie di carriere interrotte, decisioni pesanti, etc.

Non sempre i genitori hanno espresso la rinuncia in termini negativi: alcuni trasmettono l’idea che sacrificarsi è “l’unica via possibile per essere genitori”, una sorta di dovere morale ineluttabile nel momento in cui si decide di avere figli.

Per queste persone, un figlio comporta una dedizione ed un sacrificio indispensabili a dimostrare l’amore per lui. Non ci sono lamentele in proposito, solo questo punto di vista pervasivo e totalizzante, ma il figlio cresciuto in questo modo sarà come un piccolo sovrano su un trono troppo grande per lui.

Crescendo, questo bambino diverrà un adulto timoroso di perdere la sovranità vissuta nel ruolo filiale, ma in seguito strutturata anche nelle relazioni coi pari, e ancora di più in una relazione di cura verso i propri figli. Questo non lo aiuterà a sperimentare altri aspetti delle relazioni che potrebbero renderlo meno divino ma più libero, proprio di quella libertà che al contrario teme di perdere.

Nei prossimi articoli discuteremo di atri esempi.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: http://blog.libero.it/ETEREA/4198590.html