Imparare l’inglese è ormai una necessità, e studi di neuropsicologia e neurolinguistica hanno dimostrato che prima si comincia e meglio è. Il cervello infantile, infatti, è molto più ricettivo di quello di un adulto, proprio perchè si sta ancora formando.

Possiede, cioè, una “plasticità” che gli permette di attivare strategie di apprendimento, attraverso l’uso dei vari sensi, per esplorare l’ambiente circostante, dare un significato agli input che riceve e interagire con esso.

Avviene così l’acquisizione della lingua materna: agli stimoli sensoriali viene associata l’espressione linguistica. Ma allora perchè non agevolarne sin dai primissimi anni di vita una seconda? Sono molti gli scienziati che oggi sostengono i vantaggi del bilinguismo, come per esempio il rendimento scolastico o la facilità con cui da adulti si riesce a imparare nuove lingue

Bisogna sfatare il timore che poi i bambini sviluppino disturbi del linguaggio, come la balbuzie, o addirittura che il bilinguismo possa essere un ostacolo alla loro crescita psicologica, intellettiva e cognitiva. Per imparare a parlare, infatti, essi attivano potenti meccanismi di memoria, che si basano soprattutto sul suono e sulla forma della parola, che viene successivamente immagazzinata, cosa che a quanto pare succede già quando il piccolo si trova dentro l’utero materno. Perciò poi alla nascita riconosce già la voce della madre.

Questo modo di memorizzare attraverso il suono e la forma della parola è tipico dell’infanzia e scompare con l’età adulta. Gli adulti fanno molta più fatica a imparare una lingua straniera perchè devono memorizzare esplicitamente il lessico funzionale, già “immagazzinato” invece dal bambino. Inoltre chi impara una lingua tardivamente deve passare dalla propria prima di accedere all’altra, mentre il bilingue precoce ha sviluppato sistemi lessicali distinti per ciascuna lingua, cosa che gli permette di evitare la traduzione mentale.

Certo, può sembrare che all’inizio i bambini molto piccoli dimostrino qualche difficoltà e mischino le due lingue, come succedeva alle mie cuginette di genitori italiani ma nate e cresciute in America, tuttavia in realtà ciò è dovuto semplicemente al fatto che non hanno ancora deciso in quale esprimersi. Succede spesso nelle famiglie di internazionalità mista, o in quelle trapiantate all’estero, appunto, ma la confusione è solo apparente, e con la crescita scomparirà completamente rendendo la persona in grado di padroneggiare allo stesso modo due linguaggi differenti.

Un buon metodo per rendere l’inglese familiare al vostro pargolo sin dalla nascita, se non avete un partner straniero, è quello di parlargli in entrambe le lingue. Non importa la vostra pronuncia, la cosa fondamentale è essere costanti e parlare in inglese per almeno qualche ora al giorno. Ad aiutarvi poi ci sono i giochi interattivi, i cartoni animati, le filastrocche, le canzoncine, ma l’impegno deve essere regolare e prolungato nel tempo: non bastano pochi anni, bisogna mano a mano calibrare gli stimoli e le risorse in base all’età.

Il consiglio in ogni caso è sempre quello di giocare insieme a loro, fare in modo che siano momenti di condivisione e divertimento, non di insegnamento o di fredda educazione. E soprattutto, privilegiate comunque la comunicazione: se non vi sentite a vostro agio nell’esprimere certi concetti o emozioni in un’altra lingua non forzatevi, scegliete quella che viene dal cuore.