Nel precedente articolo abbiamo introdotto il tema dell’inappetenza e di quei problemi che possono insorgere, per alcuni bambini, al momento del pasto. Il problema del rifiuto del cibo è molto sentito in alcune famiglie, probabilmente perché tocca alcune ansie silenziose non solo dei bambini ma anche di noi genitori.

Voglio provare a proporvi una strategia che possa essere rispettosa delle esperienze emotive sia del bambino che di voi stessi. Una riflessione che tenti di costruire un legame più forte tra voi e vostro figlio.

Per far questo è necessario che voi pensiate all’esperienza non come “evento” (mio figlio non mangia) ma come “processo”: l’esperienza va intesa nel suo insieme, e non solo nel singolo momento di incontro col cibo.

I sentimenti che ciascuno di noi prova sul cibo, hanno radici molto lontane.
Quando un bambino ha delle sensazioni negative davanti al cibo, e ciò non avviene come fatto occasionale (che può essere legato ad una necessità fisiologica, un malessere temporaneo, un fatto passeggero), è possibile che i suoi vissuto nascano da “un prima”.

E’ importante, come prima cosa, che ciascuno di noi sia davvero consapevole del suo giudizio sulla questione, e che sia certo di non aver sovrastimato il problema: molti genitori si preoccupano più del necessario del “digiuno” dei propri figli, così come molti altri non si accorgono di sovralimentarli.

Un confronto col pediatra, per cominciare, è sempre utile. Ci sono fasi della crescita, infatti, o situazioni fisiologiche nelle quali mangiare poco è del tutto normale, ed è una naturale forma di espressione dell’organismo, che necessita di mangiare meno, o di non assumere determinati alimenti. Ignorare questi segnali, ed insegnare al bambino a metterli a tacere, è del tutto diseducativo.

Detto questo, è anche possibile che il disagio del bambino che non vuole mangiare venga da qualcosa accaduto “prima”: può essere temporalmente vicino (ad esempio un gioco sul quale era concentrato e che è stato interrotto, una tensione emotiva che non ha ancora smaltito, un clima familiare non particolarmente disteso), ma anche risalire a parecchio tempo prima.

Mi è capitato di osservare bambini che si agitavano parecchio, ad esempio, quando una maglia non passava dalla loro testa, e scoprire poi dai racconti della mamma che avevano avuto un parto difficile. O neonati molto “sensibili” in alcune parti del loro corpo che hanno vissuto delle esperienze che provocano in loro delle risposte emotive o dei riflessi molto forti.

Queste reazioni rappresentano una “memoria emotiva” del bambino, del tutto appropriata se riferita alla loro storia, che può sembrare molto forte quando pensiamo a quel che prova davanti al piatto pieno.

Nel prossimo articolo vi racconterò di cosa succede quando un bambino va in tilt alla vista dei piselli, o delle carote, o di tutto ciò che è croccante, o di tutto ciò che… è vitaminico.

Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: bntnews.hankyung.com