Quando io e mia sorella avevamo rispettivamente sei e tre anni, mia madre si presentò a noi con una zazzera cortissima, la sua splendida chioma rossa sparita. “Mamma, ti sei tagliata i capelli?!” chiedemmo sgomente. “No” rispose lei “mi hanno sostituito la testa. Questo nastro adesivo che ho attorno al collo serve a sostenere la mia testa nuova. Adesso me lo tolgo: cercate di prendere la testa al volo quando scivolerà dal collo, o si spiaccicherà per terra e io rimarrò senza” disse lasciandoci senza fiato. E se lo tolse.

Quando io e mia sorella avevamo rispettivamente diciotto e quindici anni, tornavamo a casa tardi la sera e ci muovevamo nell’appartamento col passo del ninja per non svegliare i genitori e beccarci i rimproveri. Accendevamo la luce con la maggior delicatezza possibile, e poi urlavamo: ancora una volta nostra madre si era premurata di disseminare l’ingresso di orrende bambole di porcellana che – ne eravamo convinte – di notte avrebbero preso vita. Alle loro mani aveva legato dei coltelli da cucina e sulle loro bocche aveva disegnato macchie di rossetto che parevano sangue. Dal piano superiore, dove i nostri genitori dormivano, si poteva sentire la mamma che si sganasciava dalle risate.

Quando io e mia sorella avevamo rispettivamente diciotto e quindici anni, tornavamo a casa tardi la sera e ci muovevamo nell’appartamento col passo del ninja per non svegliare i genitori e beccarci i rimproveri. Evitavamo di accendere le luci dell’ingresso per non vedere lo spettacolo delle bambole cannibali e salivamo le scale in silenzio e al buio, contando i gradini con le braccia protese in avanti. A un certo punto della salita le nostre braccia avrebbero toccato qualcosa di inaspettato, qualcosa che là non avrebbe proprio dovuto esserci e che ci riempiva di terrore: nostra madre, che ci attendeva a metà scala in silenzio e con il preciso proposito di farci morire di spavento.

Quando io e mia sorella eravamo ragazze e portavamo a casa i primi fidanzatini, pregavamo nostra madre di comportarsi bene e di non farci fare brutte figure. La mamma si rivelava un’ospite attenta, discreta e premurosa. Preparava cose sfiziose da mangiare e poi si defilava. Solo, al momento del commiato porgeva al fidanzato di turno un sacchetto della spazzatura con preghiera di gettarlo nel cassonetto all’angolo. Per testatare il suo grado di devozione, diceva.

Quando mia sorella stava proprio tanto male, mia madre non si staccava dal suo letto. Ma avrebbe dovuto farlo, ché a furia di auscultare il battito appoggiandole la mano sul collo finiva per distrarsi e rischiava sempre di soffocarla.

Quando eravamo giovani donne e le prestavamo meno attenzione, lei ne approfittava per sparire per intere giornate. Scoprivamo solo più tardi che si trovava a Mostar, in Bosnia, in piena guerra, ché si era inventata una missione umanitaria e ci si era spedita. Poi tornava a casa con sconosciuti bosniaci a cui trovava casa, sussidi e lavoro.

Mamma, questa estate possiamo andare in vacanza con la nonna?” chiedono adesso le figlie adolescenti alla ricerca di emozioni forti.
Assolutamente no, ragazze. Intendiamoci: di voi mi fido. Ma di lei..