La presenza del padre in sala parto è una prassi relativamente recente: fino agli anni ’70, a seconda dei luoghi e delle culture, non era ancora un’abitudine consolidata. Come mai fino a quel momento non era culturalmente previsto, e solo allora è sorta questa necessità?

La prima osservazione da fare riguarda il cambiamento proprio nel modo di partorire: fino agli anni ’60 infatti si partoriva a casa, non con il medico ma con l’ostetrica, altrimenti detta levatrice, ovvero tra donne ed in un ambiente familiare.
Solo con l’inizio del parto in ospedale, seguito dal medico, le donne hanno cominciato a chiedere la presenza di una figura intima che facesse da tramite tra pubblico e privato.

Anche allora, tuttavia, la figura del padre era una presenza muta e silenziosa che doveva dare meno impedimento possibile a chi rimaneva protagonista di quel momento: l’equipe medico-ospedaliera.
Con il monito di “evitare complicazioni”, entrambi i partner hanno obbedito per anni a questo patto che consentiva la presenza del marito solo in casi in cui “non ci si dovesse occupare anche di lui”.

Le modalità del parto, diverse di luogo in luogo, rispecchiavano questa mentalità: laddove il “potere” medico cresceva, quello della donna diminuiva. Non a caso, in luoghi dove la partoriente era lasciata libera di muoversi e di essere protagonista attiva del suo parto, anche la presenza del marito era intesa diversamente.

Ma torniamo ad un concetto importante: la presenza di una figura di sostegno al momento del parto.
L’accesso alla sala parto per il padre è una tutela su due fronti: da un lato la volontà sempre più espressa da parte degli uomini di partecipare alla nascita del loro figlio, dall’altro la possibilità per la donna di avere una figura facilitante per il processo di parto.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, c’è da dire che non sempre è così: e non per motivi legati ad una cattiva relazione con il partner. Anche se una relazione di coppia funziona perfettamente, è possibile che la donna, al momento clou del parto, possa trovare in un’altra figura (la madre, l’ostetrica, il ginecologo) quel sostegno necessario a portare avanti l’esperienza.

Osservando il processo dal punto di vista della partoriente, possiamo sottolineare quanto questa scelta (spesso non preventivata, ma frutto di un’intuizione del momento) sia importante. E quanto, al contrario, non avere la possibilità di essere supportati dalla “persona giusta al momento giusto” abbia rallentato o complicato molti travagli.

dott.ssa Marcella Agnone – Psicologa Psicoterapeuta

foto: donnamoderna.com