“Signora, è proprio un bel bambino!”. Così mi disse il medico del super centro diagnostico privato a cui mi ero rivolta per un’ecografia di secondo livello. Rimasi stupita: possibile che con un’ecografia tridimensionale sia possibile addirittura capire se un bimbo avrà un bel viso oppure no? “Grazie” – risposi – “ma dice a tutte così?”. Lui rise: “Scherza? Con questo aggeggio vedo certi profili irregolari, certi nasi…”.

In effetti, modestamente, quando è “uscito” era proprio un bel bambino, cosa che mi ha indotto ad avere fiducia cieca nell’ecografia in 3D. Scherzi a parte, la domanda è: l’ecografia tridimensionale, tanto di moda, oltre allo scopo “estetico” può avere anche un’utilità diagnostica?

Il dibattito è acceso tra i fautori dell’uso medico, i sostenitori dell’utilità puramente “ludica” (soddisfare la curiosità dei genitori di vedere un immagine pressoché reale del futuro bebè) e i contrari tout court.

“Personalmente” – spiega Mario Fadin, ginecologo, consulente presso la clinica universitaria Macedonio Melloni di Milano – “ritengo si debba distinguere tra l’uso in ambito privato e quello pubblico. Ai genitori piace avere un filmato e delle fotografie realistiche del proprio bambino ancora nella pancia e questo ha creato una risposta da parte della sanità privata. Ma perché anche la sanità pubblica attivi un processo analogo si dovrebbe dimostrare il valore diagnostico di questa pratica. Invece fino ad oggi non ci sono prove che l’ecografia in 3D aumenti la “detection rate”, ovvero la capacità di individuazione delle patologie malformative. L’ecografia tridimensionale può semmai aiutare a precisare meglio una diagnosi, quindi potrebbe essere indicata al massimo in centri di secondo o terzo livello. Per esempio, nel caso di una spina bifida diagnosticata in 2D, in 3D si possono vedere meglio i metameri interessati. I casi di malformazioni individuate solo attraverso un’ecografia tridimensionale sono casi sporadici che rientrano nell’aneddotica”.

C’è infine un ultimo campo di applicazione dell’ecografia tridimensionale, nuovo e ancora di nicchia, come spiega ancora Fadin: “Alcuni ricercatori che hanno verificato la possibilità di usare l’eco in 3D per studiare la fisiognomica del viso del feto in un’ottica diagnostica. Infatti alcune sindromi genetiche rare, che sfuggirebbero a villocentesi ed amniocentesi, generano particolari alterazioni somatiche, indagabili appunto con l’eco in 3D. Ma si tratta di un settore del tutto sperimentale”.

Stefania Cecchetti,
giornalista e scrittrice

foto: www.diagnosiprenatale.it