Questa volta, Katia ha scritto per noi un articolo sul significato della Pasqua, dal significato etimologico è passata al significato per così dire emozionale, quello legato ai ricordi della sua infanzia e della sua famiglia. Per poi passare, infine, a descrivere le tradizioni della Pasqua nei vari Paesi del Mondo. Insomma, un vero e proprio excursus su questa festa tutta da riscoprire. Ecco come la descrive Katia:

Rinascita, rigenerazione, fecondità, liberazione, speranza. Dal greco pàscha, dall’ebraico pésach (passaggio), dal latino pàscua (pascoli), pasha (dall’aramaico pascho, soffro) tutta la storia della sua origine e dei suoi simboli riportano sempre e comunque a un significato di esplosione di luce dopo il buio e di vita dopo la morte.

Simboli della Pasqua: l’uovo

Così come nelle tradizione millenarie di tutti i popoli l’uovo è sempre stato sinonimo di rigenerazione e fecondità. Una leggenda indiana narra:

“Era il nulla e fu l’essere. Crebbe e si cambiò in uovo. Riposò un intero anno, poi il guscio si schiuse in due frammenti, uno d’oro e uno d’argento. Da quello d’argento nacque la terra, da quello d’oro il cielo. Dalle membrane esterne si formarono le montagne, da quelle interne le nubi e le nebbie; dalle nervature vennero i corsi d’acqua e dai suoi liquidi gli oceani”.

Per i cristiani Gesù è l’uovo dal quale scaturisce di nuovo la vita offrendo speranza e gioia. Ogni Paese celebra la sua Pasqua e ogni famiglia ritrova la sua memoria e la sua identità.

Tradizioni della Pasqua negli altri Paesi


  • In Russia a Pasqua si mangiano il koulitch o il patcha, un piatto di uova e formaggio bianco e i bambini cantano canzoncine e amano tutto ciò che è sladko (dolce, piacevole);
  • In Austria si preparano le krapfen da confessionale, beichtkrapfen, e i bambini partecipano alla preparazione e li distribuiscono alla fine del pranzo.
  • In Germania il marzapane di Lubecca è protagonista di piccoli capolavori; artistiche uova pasquali e deliziosi dolcetti che vengono nascosti in casa e devono essere cercati dai più piccoli
  • In Grecia la Pasqua è la festa più importante. La domenica dopo aver mangiato gli arnì sti soùvla (agnelli cotti interi allo spiedo) vengono distribuite le uova sode chiamate kòkkina avgà, dipinte di colore rosso perché rappresenta il sangue di Cristo e l’uovo la vita eterna. Con l’uovo si fa il tradizionale gioco pasquale, tsoùgrisma, in cui ognuno prende il suo uovo e lo fa cozzare con quello del vicino.
  • In Norvegia le festività sono molte sentite e allegria e buonumore sono gli ingredienti principali. Le fanciulle si intrecciano i capelli con nastri e fiori e ballano in cerchio intonando filastrocche liete, e i bambini cercano le uova colorate nascoste in giardino per riempirne cestini che adorneranno la casa.

La mia Pasqua

Quando eravamo bambine, io e la mia gemellina, attendavamo la Pasqua con la consapevolezza che ancora una volta la ritualità sarebbe stata rispettata e questo era per noi piccoli una ulteriore garanzia di stabilità e sicurezza. Ricordo con un sorriso il rianimarsi della mia casa dopo il periodo pacato e rispettoso dell’attesa.

La domenica di Pasqua anche ad occhi chiusi e con le orecchie tappate avrei potuto vedere e sentire tutto: l’andirivieni dalla cucina alla stanza da pranzo, il rumore delle stoviglie, e gli indimenticabili e irripetibili odori delle fresie che si mischiavano con quelli del cibo. E le uova di cioccolato, accuratamente nascoste agli occhi di noi bimbe durante la Quaresima, che all’improvviso facevano bella mostra di sé attendendo di essere aperte.

La tovaglia era sempre la stessa e si tramandava da madre in figlia. Bianca di fiandra di cotone, aveva nel riquadro centrale un grosso nastro di raso color giallo alto circa 10 cm. che si inseriva in passanastri ad anelli alti quanto il nastro e larghi 3 cm., formando così una cornice all’interno della quale veniva posto il centrotavola fatto con una uova sode dipinte e fresie bianche e gialle.

I piatti avevano un delicato disegno con fiorellini gialli, rosa e azzurri con foglioline verdi e noi bambine avevamo il compito di legare i tovaglioli con un nastrino sottile di raso giallo, dello stesso colore di quello centrale e di disegnare dei cartoncini che avrebbero avuto la funzione di segnaposti per i commensali.

Il pranzo aveva la stessa solennità di una funzione religiosa. I piatti entravano secondo un ordine prestabilito ed erano sempre gli stessi ogni anno. Torta di tagliatelle con ricotta e zucca, capretto in umido e al forno con vari contorni di verdure, la cassata siciliana e i cannoli. Ma noi bambini aspettavamo con ansia le nostre piccole “cuddure” che precedevano la rottura delle uova di cioccolato. La cuddura era un pane di pasta dolce dalla forma di cestino che conteneva due uova sode intere inserite nell’impasto prima di essere infornate.

Non che noi amassimo il dolce in sé ma bensì il rito che ad esso si accompagnava. Cantando una canzoncina propiziatoria ed esprimendo un desiderio, io e mia sorella stringevamo ognuna di noi un lato del manico del cestino e alla fine della litania dovevamo tirare con una leggera pressione. Se il manico si spezzava dalla mia parte, si sarebbe realizzato il mio desiderio, altrimenti quello della mia gemellina.
Allora ero troppo piccola per meditare sulla piacevole circostanza che in altre famiglie, nel resto del mondo, si consumassero riti analoghi ai nostri, con bambini diversi da noi.

Dunque un mondo capace di sorridere e di sperare ancora, nonostante tutto. Una Festa lieta e luminosa che riaccende nei cuori la speranza che la vita sempre e comunque ha la forza di rinascere e rifiorire come il ramo di mandorlo che generosamente e silenziosamente offre il tenue colore rosa dei suoi fiori anche sotto la trappola del ghiaccio.

Articolo di Katia Amato Sgroi