C’è un batterio che ha provocato già 8 morti in Veneto, si chiama Mycobacterium chimaera e di lui ignoravamo l’esistenza sino a  poche settimane fa.

Ma che cos’è questo batterio? Come si contrae? Perché viene chiamato il batterio killer? Chi è in gravidanza si deve preoccupare? Cerchiamo di fare chiarezza e informare correttamente.

Che cos’è?

Il Mycobacterium Chimaera è un batterio diffuso in natura e generalmente non pericoloso per la salute umana.

La diffusione del batterio è associata all’utilizzo di dispositivi di raffreddamento/riscaldamento necessari a regolare la temperatura del sangue durante interventi cardiochirurgici in circolazione extra corporea.

Come avviene il contagio?

Il Mycobacterium chimerae è responsabile di infezioni associate a interventi di cardiochirurgia a cuore aperto con esposizione a generatori termici in sala operatoria (heater cooler devices, che servono a regolare la temperatura del sangue durante questo tipo di  interventi).
Si tratta di contaminazione ambientale con il batterio in sala operatoria e sul campo chirurgico.

Mycobacterium chimaera

Incubazione e contagio

Il periodo di incubazione dopo l’esposizione al risulta lungo, con una mediana di 17 mesi (range 3-72 mesi). Segni e sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso.

Non esiste una terapia stabilita e il tasso di mortalità è circa del 50%. Attualmente, l’entità dell’epidemia globale non è nota con esattezza.

L’epidemia in Veneto

Ad essere interessati al possibile contagio di queste settimane sono circa 10mila pazienti operati nelle cardiochirurgie del Veneto con l’utilizzo di dispositivi dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2017 in Veneto.

È stata costituita una Task Force Europea  al fine di ridurre al massimo i rischi di contaminazione.

Nel 2015 il CDCE (centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ha diffuso in tutta Europa un Rapid RISK Assessment a tutti gli specialisti e MMG sulle infezioni associate a questa tipologia di attrezzature.
Il CDCE ha diffuso proprio un protocollo specifico per la identificazione dei casi con test di laboratorio e test ambientali, indicando la metodologia del test ambientale. A fine 2016 altro Rapid RISK Assessment dell’ECDC europeo con nuove misure preventive come la collocazione dei macchinari fuori dalla sala operatoria.

Infine l’Health Security Committee composta da esperti della Commissione Europea ha emanato un comunicato per favorire lo scambio di informazioni tra Stato Membri, implementare le misure di controllo in tutta Europa e coordinare le autorità europee nell’eventualità d’identificazione di nuovi casi.

Si può parlare di epidemia?

Gli elementi a disposizione sono ancora insufficienti per parlare di epidemia o di cluster o per escludere una di queste evenienze.

Non dobbiamo dimenticare, tra l’altro, che il tempo di latenza tra la possibile esposizione e la comparsa dei sintomi è particolarmente lungo, andando dai 18 mesi ai 5 anni, rendendo complessa l’identificazione di una comune fonte di esposizione tra i casi.

Nel frattempo, il Ministero della Salute ribadisce l’importanza della corretta gestione e bonifica dei dispositivi medici. Nonché l’applicazione delle misure, comportamentali e ambientali, per la prevenzione delle infezioni in ambito assistenziale.

Fonte: Ministero della Salute