Lo psichiatra Claudio Mencacci, uno dei fondatori del Centro per la depressione della donna, nato nel 2004 all’interno della Macedonio Melloni, sostiene che “il ritorno in ufficio dopo la nascita del bebè protegge dalla depressione post partum che colpisce almeno una donna su dieci”, come si legge sul Corriere della Sera del 21 dicembre. Da uno studio che si è appena concluso, infatti, è risultato che le donne maggiormente in crisi dopo il parto sono quelle che hanno temporaneamente lasciato la loro attività professionale, e quindi soffrono anche per il  fatto che il loro ruolo è venuto meno. Inoltre, già a un mese dalla ripresa del lavoro si registrano i primi segnali di recupero, che invece tardano a manifestarsi nelle donne che restano a casa più a lungo. Il suggerimento di Mencacci, quindi, è quello di riprendere il lavoro appena possibile, naturalmente rispettando i 5 mesi di astensione obbligatoria per le lavoratrici dipendenti, e magari senza raggiungere gli eccessi di Rachida Dati e Maria Stella Gelmini.

In Lombardia in realtà risultano essere poche le donne che rinunciano alla maternità facoltativa dopo i 5 mesi di astensione obbligatoria. E molte donne dopo la gravidanza rinunciano addirittura al lavoro.

Ma alcune posizioni, come quella della giornalista  Marina Terragni sono contrarie a questa tesi, perché pongono al primo posto la salute e il benessere psico-fisico del neonato, che – almeno nei primi 9 mesi di vita – ha bisogno della mamma più che di qualunque altra persona al mondo. Certo, una mamma depressa forse non riesce a dare al figlio quello che può dare una mamma in equilibrio e in armonia con se stessa. Però credo anche io che la soluzione migliore non sia nella fuga dal neonato verso il lavoro.

E, se molte mamme ancora si vedono costrette a lasciare il loro lavoro, non sarà perché in certi casi sono caldamente invitate a farlo, o perché questo diventa incompatibile (per orari, o per altre ragioni) con l’accudimento di un bambino piccolo? E quante mamme rimarrebbero invece volentieri più a lungo con i loro figli, ma non possono, perché sono lavoratrici autonome o con contratti atipici?

Certo, è vero che nei paesi dove l’occupazione femminile è maggiore, è più alto il tasso di natalità. Ma sono necessarie anche strutture e condizioni di lavoro che rendano la maternità compatibile con la vita professionale. Altrimenti, a cosa serve mettere al mondo dei figli perché vengano cresciuti full time da altri, che siano nonni o baby sitter, tagesmutter o educatori professionali?

Voi cosa ne pensate? Avete ripreso a lavorare subito, per scelta o per necessità? Avreste preferito, guardando indietro, fare una scelta diversa?

www.mamma.pourfemme.it