Dal punto di vista scientifico ci sono tante spiegazioni che accompagnano ogni singolo processo che riguarda la gravidanza, il concepimento, il parto. Sappiamo di cellule, di uova e spermatozoi, abbiamo strumenti in grado di mostrarci tutto quello che avviene dentro di noi. Eppure, davanti alla potenza della nascita, c’è sempre qualcosa che va al di là della spiegazione razionale: il senso del mistero.

La comprensione di molti fenomeni fisiologici è stata molto utile a salvare parecchie vite umane, a fare in modo di condurre una vita migliore e salvaguardare il benessere di tante persone. I più grandi scienziati, però, davanti alla più grande scoperta, si fermano a riflettere su come la conoscenza non è sempre una forma di controllo, anzi, a volte ne è ben lontana.

 

Questi temi purtroppo ci sfuggono quando programmiamo la nostra assistenza al parto e ci preoccupiamo, giustamente, di ricreare le condizioni ottimali alla salvaguardia della nostra salute e dell’incolumità del bambino.

 

Una donna che partorisce è l’espressione di maggiore apertura ai sensi, e se questa è oggi un’esperienza difficile per la maggior parte di noi, c’è una sapienza insita nel corpo che, se ascoltato, porta intuitivamente in questa direzione.

 

Durante la nostra vita, la nostra crescita, impariamo a dare per scontate molte cose. Costruiamo aspettative su molti aspetti della vita, e questo ci aiuta ad acquisire un senso di sicurezza che rende la vita meno incerta, ma che ci toglie il piacere della scoperta.

 

Guardare con maggiore ingenuità alle cose del mondosignifica avere la capacità di osservarle pienamente, veramente, così come accadono. La gravidanza è, da questo punto di vista, un’opportunità che va colta.

La potenza delle sensazioni di questi momenti è quella che ci fa sperimentare in un momento l’estasi della gioia, e nell’altro la crisi e il senso di angoscia. Sono due estremi, ma sono entrambi molto forti e presenti.
La tendenza della mentalità occidentale è di normalizzare, “appiattire”, cancellare gli estremi e anestetizzare. Manca la propensione ad ascoltare, accompagnare, assecondare.

 

Ogni vissuto, nella vita quotidiana, nei momenti salienti, nella gravidanza o nel travaglio, è un messaggio che va ascoltato: senza questa predisposizione andremo incontro ad un cortocircuito che si creerà nel momento in cui chiudiamo i sensi davanti al nostro corpo che chiede di parlare.

 

Il disagio, il malessere, il blocco si creano proprio lì. Un’espressione così forte, alla quale quotidianamente non siamo abituati, spesso sconvolge non solo la futura mamma, ma anche le persone che la assistono.

 

Accompagnare al parto significa anche questo: compiere un percorso di ri-alfabetizzazione rispetto al linguaggio corporeo che permetta di vivere il nostro corpo come alleato, piuttosto che come nemico da mettere a tacere, o da consegnare nelle mani di chi farà al posto nostro.

 

 

foto: laurin.it blog